PECUNIA NON OLET

30 Gennaio 2021

Segue da Mappamondo n.2

Ci eravamo lasciati con questa domanda:
“Bitcoin: è davvero l’oro digitale? Può esistere una moneta non emessa e garantita da uno Stato sovrano o
da una banca centrale?”

Conoscete tutti la frase latina “pecunia non olet”, il denaro non ha odore e vale a prescindere dalla sua
provenienza. L’espressione è attribuita all’imperatore Vespasiano per rispondere al figlio che lo
rimproverava di aver tassato l’urina raccolta nei vespasiani privati e che dai privati venivano vendute ai
conciatori di pelle.

Ma il termine pecunia da dove deriva? Ovviamente da pecus, pecora o bestiame.

La storia della moneta accompagna la storia dell’umanità e prima che si arrivasse alla moneta metallica
molti beni sono stati considerati come unità di conto per determinare il valore di un bene. Sicuramente il
bestiame, come suggerisce il termine pecunia. Ma hanno svolto il ruolo di moneta anche pelli e pellicce,
pietre e conchiglie.

La moneta “moderna” è priva di valore intrinseco. Non è infatti di metallo prezioso ma di ferro o di carta e
gran parte dei soldi che possediamo sono “digitali”. Non esiste nessuna correlazione con le riserve di oro
di uno stato dalla fine del sistema del sistema Gold Standard, abbandonato e sostituito dal sistema dei
cambi flessibili. L’emissione di moneta è legata alla crescita economica ma, anche e soprattutto, nell’ultimo
decennio alle politiche monetarie espansive.

Cosa ci permette di dare valore a dei pezzi di carta?

La circolazione e l’accettazione della moneta come mezzo di pagamento e come riserva di valore
dipendono unicamente dalla fiducia. La fiducia che chi riceve in cambio di beni dei pezzi di carta (o dei
numeri sul conto corrente) possa utilizzarli per acquistare a sua volta altri beni. Questa fiducia dipende dal
fatto che la moneta ha “valore legale”: la legge dello stato afferma che il pagamento effettuato con quella
data moneta estingue il debito e chi ha un credito deve obbligatoriamente accettarla.

Eppure può succedere che anche beni che non hanno “valore legale” possano essere riconosciuti e utilizzati
come moneta.

Nel recente passato ne sono stati un esempio i gettoni telefonici: per tutti erano equivalenti alle 200 lire.

Se si diffonde la fiducia su un determinato strumento o bene può succedere che questo venga considerato
moneta. E’ quello che sta succedendo a Bitcoin. Non ha valore legale ma in qualche modo si è ritagliato una
“credibilità” che, unita all’effetto rarità, lo ha fatto diventare un oggetto del desiderio. E sembra anche
rispondere al requisito della “riserva di valore” proprio per la sua caratteristica di non essere
“inflazionabile” (leggi Mappamondo N.2).

E il mio investimento in criptovalute?

Nel 2017 decisi di destinare a questo esperimento (perché di questo si tratta, non di investimento) una cifra
minima, una somma che avrei potuto permettermi di perdere.

Acquistai bitcoin e altre criptovalute minori avendo cura di proteggere e custodire le chiavi per il loro
recupero. Ebbi la cura di inserire in una app-wallet le mie criptovalute per poterle seguire. Dopo pochi mesi
cominciarono a scendere di valore. Nel 2019 i miei soldi si erano quasi azzerati. Le perdite, si sa, fanno
molto male, si chiama “loss avversion” ed è un atteggiamento psicologico molto conosciuto. Per ognuno di
noi le perdite pesano il doppio dei guadagni.

Cosi smisi di controllare le mie criptovalute. Avevo già mentalmente contabilizzato la perdita.

All’improvviso nel 2020, dopo alcune settimane in cui mi passavano davanti news sulla crescita di bitcoin,
trovo il coraggio di riaprire l’app e …sorpresa!

Bitcoin era tornato vicino al valore del mio acquisto, altre cripto erano ancora prossime a zero ma una di
queste si era moltiplicata per sei. Si, hai capito bene. Ci avevo messo circa 800 euro e ne avevo 4800. Mi
affretto a recuperare password e a venderle, con non poche difficoltà visto che non ricordavo più nulla del
procedimento. In realtà per vendere la cripovaluta Lend mi tocca trasformarla prima in bitcoin.

Avevo ormai accarezzato l’idea di recuperare tutta la cifra complessivamente dedicata a questa
scommessa e quindi neanche valuto la soluzione di tenermi i bitcoin rivenienti dalla conversione.

Avrei potuto tranquillamente farlo, erano ormai soldi persi e non mi servivano.

E invece vendo i bitcoin.

Peccato! Erano a 10000 circa e oggi a 30000 (due settimane fa hanno toccato anche i 40000). Fate i vostri
conti.

Ho fatto bene? ho fatto male? Chi vivrà vedrà.

Ho ancora un piccolo gruzzolo di bitcoin, quelli comprati all’inizio e mai venduti. Li manterrò senza farmi
tentare da guadagi o intimidire da perdite. Voglio vedere, questa storia, come va a finire.

Janet Yellen, ex presidente Fed e nuova segretaria al Tesoro Usa ha espresso preoccupazione verso le
criptovalute in quanto si presterebbero ad essere utilizzate per riciclaggio, finanziamento del terrorismo e
di attività illecite. Esattamente come le monete legali, mi viene da aggiungere.

Nel frattempo Coinbase, la più grande piattaforma per la quotazione e lo scambio di criptovalute, ha
chiesto di essere ammessa alla quotazione in borsa a Wall Street.

Sarà ammessa? Io credo che “Pecunia non Olet”, nemmeno stavolta!

Cristina Capitoni
Consulente Finanziario
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