Noi abbiamo delle responsabilità. Collettive e individuali. E da queste non
possiamo prescindere. Da umani non abbiamo una “visuale” di milioni di anni e
neppure di migliaia. Il massimo orizzonte che riusciamo a intravedere è la durata
della vita dei nostri nipoti
La parola “crisi” ha origine antica e sembra avere relazione con l’attività umana della separazione del
frumento dalla paglia e dalla pula. Significa quindi “separare” e di conseguenza “scegliere”.
Quella che stiamo vivendo è sicuramente una crisi: la possiamo vedere solo in negativo o trasformarla in
un momento di scelta, di responsabilità, di cambiamento.
Non possiamo con certezza affermare che il Covid 19 o coronavirus non si sarebbe “materializzato” in
mezzo a noi umani se i nostri stili di vita o i nostri atteggiamenti nei confronti degli habitat degli animali
selvatici fosse stato diverso e se i cambiamenti climatici non stessero impattando sulla qualità della vita di
flora e fauna e non fossero la causa di scioglimentii di ghiacci da un lato e desertificazioni dall’altro.
Ci sono molti indizi che lasciano intendere quanto la nostra massiccia presenza sul pianeta unita al nostro
modello di sviluppo possano aver favorito la pandemia. Quasi come se i virus, per la terra e per il suo
ecosistema, fossimo NOI UMANI.
Quello che chiamiamo progresso (e che sicuramente lo è) ci porta a concentrarci in metropoli da milioni di
abitanti, a rubare sempre più spazio alle foreste, ad emettere gas da combustibili fossili, a spostarci da un
lato all’altro del globo come se si facesse il giro dell’orto.
Al tempo stesso è innegabile che la qualità della nostra vita, di noi essere umani a livello globale intendo,
sia notevolmente migliorata rispetto anche solo a 20 anni fa.
La fame nel mondo si è ridotta sensibilmente, erano 15 su 100 i malnutriti nel 2005 e oggi sono circa 11.
Può sembrare nulla ma si sta parlando di centinaia di milioni di persone.
La tecnologia ci sta semplificando la vita e abbiamo il sapere a portata di mano.
I livelli di istruzione sono cresciuti in tutto il mondo e milioni di persone sono uscite dall’analfabetismo.
I duri lavori di una volta sono svolti da macchine e uomini e donne possono dedicarsi a lavori e professioni
più stimolanti e gratificanti rispetto al lavoro fisico.
Molte malattie trasmissibili sono state sconfitte e abbiamo fatto passi da gigante nella cura di tante
patologie degenerative. E’ anche per questo che, tra tutti i nostri pensieri per il futuro, quello di avere a che
fare con un virus nuovo che non conosce confini non stava nell’elenco.
Ed eccoci qua.
Difronte a scelte non negoziabili, non rimandabili.
Quelle di breve periodo ( sostegno all’economia, potenziamento dei sistemi sanitari e ovviamente messa a
disposizione di un vaccino per tutti) e quelle di lungo periodo.
Di queste voglio parlare.
Certo ci viene male a pensare di rimettere in discussione conquiste e “vantaggi” del progresso. Io ad
esempio non ho nessuna voglia di rinunciare ai viaggi in aereo e ho ancora tanto mondo da vedere. Come
non posso neppure immaginare di non riscaldare a dovere la mia casa o a non farmi una doccia ogni giorno.
Ma se non faremo niente questo sarà presto, molto presto, un pianeta inospitale per il genere umano.
Uno degli slogan del movimento nato intorno a Greta Tumberg è “salvare il Pianeta”. In realtà il pianeta si
salva da solo e non ha bisogno di noi. Fatto di elementi chimici, si aggiusterà e vivrà ancora milioni
(miliardi?) di anni. Ma noi?
Noi abbiamo delle responsabilità. Collettive e individuali. E da queste non possiamo prescindere. Da umani
non abbiamo una “visuale” di milioni di anni e neppure di migliaia. Il massimo orizzonte che riusciamo a
intravedere è la durata della vita dei nostri nipoti
Con mia nonna andavo a raccogliere camomilla che, una volta essicata, diventava quella meravgliosa tisana
serale che oggi ho ritrovato in erboristeria. Mia nonna non sapeva leggere ( era nata nel 1906) ma l’unica
preoccupazione che aveva per me era quella che mangiassi abbastanza!
Io se penso ai figli di mio figlio ho il timore che potrebbero ritrovarsi a fare i conti con difficoltà legate allo
stravolgimento del clima e a tutto quello che ne può derivare:malattie, povertà, ecc…
Per fortuna non siamo all’anno zero: la tecnologia e la ricerca stanno facendo passi da gigante verso la
sostituzione dei combustibili fossili. Sappiamo quali sono i cibi e i prodotti che hanno un minore impatto
sull’ambiente, sappiamo cosa dobbiamo mangiare per stare bene e vivere più a lungo. Sappiamo cosa fare
per evitare che le montagne si sbriciolino e sappiamo come risparmiare acqua in agricoltura e come
rendere le nostre aziende meno energivore.
Abbiamo anche un grande potere come risparmiatori. Possiamo indirizzare i nostri investimenti verso
quelle aziende, meglio verso quei fondi, che integrano nel processo i principi dell’ecologia e della
sostenibilità.
Non è ( e non deve essere) una delle tante invenzioni di marketing. Anzi si sta rivelando il carburante di un
cambiamento radicale.
I fondi ESG (environmental, social and governarnce) che integrano quindi i principi della sostenibilità nella
scelta dell’allocazione stanno favorendo la transizione.
Inizialmente in pochi, sono sempre di più i gestori che dichiarano di seguire questi principii e che ricevono la
qualifica ESG. Questo permette loro di raccogliere sempre più denaro e di favorire cosi la crescita di aziende
virtuose, costringendone di nuove ad affrontare la transizione.
E’ un fenomeno irreversibile che cambia il paradigma dell’asset allocation. Settoriali, tematici e green non
possono più rappresentare una parte residuale degli investimentii ma devono diventare quella centrale.
Il tutto a favore del proprio benessere, inteso anche come rendimento, e del benessere dell’umanità.
Invertendo la citazione di Marco Aurelio* “quel che giova all’alveare giova anche all’ape”.
- Quel che non giova all’alveare non giova neppure all’ape.