LA PAURA FA 90 MA NON 9000

25 Gennaio 20200

Pietro è un imprenditore, a 70 anni ha deciso di cedere l’azienda ai suoi dipendenti. I suoi figli hanno scelto
strade diverse. Ha deciso di godersi un po’ la vita, viaggiare e dedicarsi alle sue passioni. La montagna è
una di queste.

Ha chiesto a me di seguire sia l’operazione di finanziamento dei suoi dipendenti, sia l’incasso e la futura
gestione della somma. In pratica quella che lui chiama “la mia liquidazione”.

Dopo aver pianificato ed individuato gli obiettivi a medio e a lungo termine e costruito il progetto, al
momento di “partire” con la firma, arriva la sua domanda:
“Ma sarà il momento giusto per investire?” e poi… “Sai Cristina, io nel 2000, quando è crollato tutto ho
perso una grossa cifra.

Ho cercato di capire che tipo di investimenti avesse nel 2000 per registrare una perdita cosi grossa. La
perdita si aggirò intorno al 50%. L’investimento era tutto azionario attraverso fondi d’investimento. Pietro
racconta che, impressionato da quel crollo, decise di vendere tutto realizzando quella perdita che ancora lo
fa soffrire. Non ha più traccia dei fondi che aveva nel 2000. “Occhio non vede e cuore non duole” mi dice.
Peccato, sarebbe interessante potergli mostrare quello che sarebbe successo negli anni seguenti.

Lo scoppio della cosiddetta “bolla internet”, seguita a ruota dal crollo dei mercati come reazione agli
attentati dell’11 Settembre, portò l’indice Nasdaq da 5048 a 1114, una perdita di circa il 70%. L’indice Dow
Jones perse il 32%, lo S&P500 circa il 40% scivolando da circa 1300 a circa 800.

A quella crisi ne sono seguite altre, più o meno virulente. Quella più importante, la cosiddetta crisi Lehman,
apre una fase di recessione talmente grave da indurre le banche centrali di tutto il mondo ad inaugurare
l’era delle politiche monetarie super espansive e dei tassi a zero. Misure eccezionali di immissione di
liquidità che vanno avanti ancora oggi. E poi il 2011, la crisi dei debiti sovrani (Grecia, Italia, Portogallo,
Irlanda, Spagna), la lunga coda della recessione, gli effetti sul sistema bancario e i salvataggi ancora in
corso.

Eppure se diamo uno sguardo agli indici, rispetto al 2000, oggi abbiamo l’indice Nasdaq a 9000. Qualcuno
mi dirà “eh vabbè i tecnologici…”. S&P500 (le maggiori 500 aziende USA) oggi sta a 3300 e potrei
continuare con altri indici. Purtroppo non con quello italiano. L’economia si è trasformata, chissà quali
trasformazioni conoscerà ancora e quali saranno le aziende leader nei prossimi 20 anni.

Pietro, se fosse rimasto investito, avrebbe recuperato tutti i suoi soldi. Con un po’ di pazienza. Fu un crollo
epocale che, per fortuna, non capita spesso. Invece prevalse la paura.

La paura, cattiva consigliera e peggior nemico dei nostri risparmi, è un’emozione non facile da controllare.
Penso che il primo ruolo del “consigliere finanziario” sia quello di aiutare il cliente a riconoscerla, a
controllarla ma soprattutto a prevenirla. Come? Con una corretta pianificazione e con la costruzione di un
progetto/portafoglio che abbia un orizzonte temporale corretto e un peso azionario adeguato.

Perché Pietro aveva investito il 100% o quasi in azionario? Poteva anche essere una buona scelta ma, non
avendo correttamente pianificato, la paura ha “confuso le idee”.

Fino a pochi anni prima eravamo il Bot People. Gli investimenti degli italiani si concentravano sui sicuri bot,
raramente nei più lunghi Btp. L’ingresso nell’Euro e il drastico calo dei tassi da un lato, la spinta delle
banche verso il risparmio gestito senza la necessaria esperienza dei dipendenti dall’altro. Gli italiani si
scoprirono tutti “speculatori”. Mi ricordo un giorno il fornaio che distribuiva, insieme al pane, consigli di
acquisto sulle inarrestabili azioni Tiscali. Poi azzerate.

Sono passati esattamente 20 anni ma la cultura finanziaria non è cresciuta di pari passo ai mercati
finanziari.

Il momento giusto per investire? Tra un mese, tra sei mesi o tra un anno?

Subito, ma con un piano e un metodo.

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Cristina Capitoni
Consulente Finanziario
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